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La provincia di Varese
L'uomo ha lasciato tracce di sé fin da epoche molto antiche, così come attestano i ritrovamenti palafitticoli dell'Isolino Virginia del Lago di Varese, ritrovamenti che risalgono fino alla seconda metà del quarto millennio a.C., come pure quelli ritrovati presso i Laghi di Monate e di Comabbio.
Nel IV secolo a.C. il territorio della provincia è interessato dallo stanziamento dei Galli Insubri, a cui in seguito subentrano i Romani. Della presenza romana nella regione noi possiamo trarre testimonianza dalla necropoli presso Mercallo e Comabbio, e dai resti presenti nei territori dei comuni di Osmate e Travedona.
Nel IV secolo a.C. abbiamo lo svilupparsi di quel centro di cui ci restano oggi imponenti resti che è Castelseprio, che nasce come appoggio militare e diviene in seguito una vera e propria cittadella fortificata.
Il territorio dell'attuale provincia entrò dunque nell'orbita di Milano, ed in seguito sopportò la dominazione spagnola, la dominazione francese ed infine quella austriaca. Il capoluogo, Varese, fu però sempre città libera, dovendo pagare talvolta alti tributi in termini economici per garantirsi il mantenimento della propria libertà.
In un breve periodo però la città fu infeudata nei domini del duca di Modena Francesco III d'Este, periodo che vede nascere quella piccola Schonbrunn che è l'attuale Palazzo comunale, di cui i magnifici giardini alla francese sono mirabile coronamento.
Altre importanti testimonianze storicoartistiche del capoluogo sono la Basilica di S.Vittore, che impreziosita dalla facciata neoclassica progettata dal Pollak, conserva opere del Cerano, del Mazzucchelli e del Crespi. Al suo fianco il Battistero, che originario del VII secolo fu ricostruito nel periodo compreso tra il XII e XIII secolo, adorno tra l'altro di alcuni pregevoli dipinti quattrocenteschi.
Il vero tesoro della città, che la domina dall'alto, è però il complesso del Sacro Monte, che fu edificato nella forma della via sacra attualmente visibile nel secolo XVII.
Il complesso delle cappelle e del monastero che ne segna il culmine è oggi parte dei beni dell'umanità dell'UNESCO.
Unita all'altura del Sacro Monte e quasi a proteggerla, vi è la montagna del Campo dei Fiori, centro del Parco Regionale omonimo, ricchezza della provincia. Dall'alto del monte è possibile godere di una vista eccezionale che spazia a perdita d'occhio, dall'Arco Alpino agli Appennini, attraversando in un solo volo di sguardo il distendersi della Pianura Padana, senza contare la vista dei numerosi laghi che caratterizzano questa "terra delle acque".
Lussureggiante nella sua vegetazione boschiva di larici, castagni, abeti rossi, faggi, ecc., il Campo dei Fiori si adorna anche di fioriture eccezionali, fatto dal quale probabilmente trae il nome: l'amante della montagna infatti è accompagnato nei suoi percorsi dai colori e dai profumi di orchidee selvatiche, gigli, anemoni, crochi, mughetti, ciclamini e primule e molti altri fiori e piante, a motivo della grande varietà ambientale che caratterizza l'area del Parco. Una natura in grado di affascinare - ne è stato profondamente colpito anche Stendhal, che ha tessuto elogi di questi luoghi - e che è in grado di regalare nuove sorprese aprendosi e mostrando i piccoli borghi che in essa sono incastonati e le ricchezze artistiche che certo non mancano.
Infatti il territorio del Parco, delimitato a Nord-Ovest dalla Valcuvia, a Est dalla Valganna, e a sud dalla città di Varese, comprende oltre al sopra citato Sacro Monte, anche bellezze come la Badia di Ganna, un monastero benedettino di grande importanza, edificato nell'XI secolo con un chiostro risalente al XIII-XIV secolo, che rappresenta la spiritualità e la potenza dell'ordine benedettino a quel tempo, nel controllo dei transiti nord-sud attraverso la valle; per non parlare delle bellezze liberty: il Grand Hotel del Campo dei Fiori, opera dell'architetto Giuseppe Sommaruga del 1912, e la Birreria Poretti, complesso in stile liberty del 1901, nel Comune di Induno Olona alle porte di Varese.
Non possiamo dimenticare la Rocca di Orino, fortilizio del XV secolo ma sorto forse su basi più antiche, che ha avuto probabilmente il ruolo di rifugio per la popolazione del luogo in caso di attacchi esterni.
A sud di Varese troviamo altri due piccoli laghi: il Lago di Monate e il Lago di Comabbio.
Questi due piccoli specchi d'acqua si sono formati durante il periodo delle glaciazioni e raccolgono le acque dei territori circostanti, in particolari quelle che defluiscono dal massiccio del Campo dei Fiori.
Le sponde di questi due piccoli laghi sono segnate dalla storia fin da età remota e senza soluzione di continuità, mostrando tracce del passato preistorico, romano e medioevale.
Bisogna ricordare che vicino ad essi transitava la "Via Mercantesca", che da Novara si dirigeva verso il nord Europa, motivo per cui presto sorsero rifugi, ostelli, monasteri, chiese e residenze.
Da sempre furono considerati una ricchezza, in particolare dal punto di vista della pesca che qui si è sempre praticata.
Tale attività perdura fino ai giorni nostri e per incentivarla, alla fine del secolo scorso, furono effettuate immissioni di alcune specie di pesci come per esempio la trota.
Parlando di laghi non è possibile non parlare del lago che costeggia ad ovest gran parte del territorio della provincia: il Lago Maggiore. Questo lago ha sempre avuto grande importanza come via di comunicazione nord-sud, tra la Pianura Padana tramite il fiume Ticino, e il Gottardo ed il Sempione a nord. I Visconti di Milano, consci dell'importanza di tale via di traffico, hanno affidato la zona al controllo di una famiglia ad essi fedele: i Borromeo.
Le sponde del lago vedono sorgere numerose fortificazioni, tra cui la famosa Rocca di Angera. Il Lago Maggiore, esattamente come il Lago di Como, grazie alla dolcezza del suo clima, accoglie sulle sue sponde anche piante che richiedono un clima di carattere mediterraneo. La riva lombarda del lago, meno interessata dal turismo di massa come invece avviene per la riva piemontese, si presta a un tipo di turismo più tranquillo e consapevole, che permette al visitatore di apprezzare appieno le bellezze naturali che il tranquillo paesaggio gli offre.
Più a sud si estende il Parco del Ticino, che è un paradiso ecologico nel quale prosperano numerose specie animali, sia del luogo, che migranti, per non parlare delle numerose specie vegetali che qui si trovano.
A nord di Varese si estende la zona delle valli, di cui parte, come sopra accennato, rientra nel patrimonio del Parco regionale del Campo dei Fiori.
La Valcuvia è un'ampia valle costellata da piccoli centri ricchi di bagaglio storico, e di ciò è possibile ravvisare ancora numerose tracce, tra cui, oltre alla già citata Rocca di Orino, i resti della torre medioevale di Coquio Trevisago, e il campanile della chiesa di Canonica.
Un piccolo-grande gioiello è custodito da questa valle: Arcumeggia, alle porte del comune di Casalzuigno, è una vera e propria galleria di affreschi all'aperto.
È nel 1956 che inizia la storia di questa piccola roccaforte dell'arte: si decide di fare delle case del piccolo borgo il regno dell'antica arte dell'affresco, e viene chiamata a realizzare questo sogno di bellezza una vera e propria schiera di artisti: Tomiolo, Usellini, Migneco, Dava, Brindisi, Sassu e molti altri.
Casalzuigno riserva un'altra sorpresa al visitatore: Villa Della Porta Bozzolo. La villa, trasformatasi nel tempo a partire dal '500, periodo al quale risale la sua costruzione, si mostra coronata da un parco ad anfiteatro con giardino all'italiana ed è abbellita da interni in stile rococò.
La villa attualmente fa parte dei beni del F.A.I. (Fondo per l'Ambiente Italiano). Numerose altre ville abbelliscono questo territorio: da Palazzo Litta Arese a Cuvio a Palazzo Tagliabò a Coquio, ma queste non sono certo le uniche.
Anche gli edifici religiosi si rivelano di grande pregio storico-artistico: la chiesa di S. Biagio a Cittiglio e quella di S. Bartolomeo a Coquio Trevisago, le chiese romaniche di Gemonio e il Chiostro di Voltorre a Gavirate, la quattrocentesca S. Quirico a Brenta, il convento francescano di Azzio.
Ed oltre a ciò, alle bellezze artistiche, la buona gastronomia tipicamente locale come nel caso del formaggio "Sancarlin" contribuisce a rendere piacevole un passaggio attraverso queste zone.
Non è possibile tralasciare ora un panorama della natura del luogo, una natura dolce, propria di una valle ampia, ma allo stesso tempo una natura fatta di una flora varia e di fitte estensioni di castagni e faggi, una natura adatta a tranquille passeggiate ed escursioni.
Ancora più a nord ci imbattiamo nelle valli del Luinese: la Val Travaglia, la Val Veddasca e la Dumentina.
La presenza umana è attestata fin dalla preistoria (incisioni rupestri sono state ritrovate a Luino, Curiglia e Montegrino); i Romani hanno lasciato ben scarse tracce nella zona, ma è poi nel Medioevo che queste zone acquistano appieno la loro importanza e il loro valore, grazie alla centralità assunta nella comunicazione con il nord Europa e la conseguente costruzione di fortificazioni a presidio di tali vie (Germignaga, Maccagno, Voldomino).Col tempo le valli, inglobate nel
Ducato di Milano, passano sotto il controllo di diverse famiglie, controlli e privilegi annullati al tempo della Repubblica Cisalpina, uno svilupparsi storico che prelude e prepara all'indipendenza nazionale.Dal punto di vista naturalistico la zona del
Luinese varia a seconda dell'allontanamento dal clima mite delle rive del lago verso le alture che si innalzano alle spalle della riviera e nella zona interna, con flora che caratterizza questo tipico luogo di passaggio tra climi: pini ed abeti, arbusti, betulle, felci, ecc. Di particolare interesse per quanto riguarda questa zona che chiude a nord la provincia guardando alla Svizzera è il cosiddetto "Sentiero Cadorna": durante lo svolgersi del primo conflitto mondiale sorse il timore di un attacco tedesco a seguito di un'eventuale occupazione del territorio elvetico da parte della Germania, così da peggiorare la situazione delle nostre truppe già in grave difficoltà sul confine austriaco, e furono perciò costruite delle fortificazioni a baluardo del confine svizzero.
Tutto questo risultò fortunatamente inutile, ma tale sistema fortificato, costituito da bunker, caserme, trincee, casematte, depositi, strade militari, rimasto in stato di abbandono per lungo tempo, è stato in parte sistemato ed è oggi possibile ai turisti visitarlo.
Vi è poi un altro luogo dove il tempo sembra essersi fermato, dove sembra essere stato letteralmente "bandito": il comune di Monteviasco. Questo paesino è la punta di diamante della Val Veddasca, non raggiungibile attraverso nessuna strada carreggiabile, ma solo attraverso un'antica mulattiera a scalini - circa 1400 - e da poco con una funivia. Un "mondo sospeso" dove stabilmente risiedono non più di una dozzina di persone innamorate del selvaggio e paradisiaco isolamento del loro paese.
Come si vede la provincia di Varese, spesso ed a torto accantonata dal punto di vista turistico, non significa solo vicinanza a Milano o produzione industriale, ma è un territorio assai vario, dove la natura e la storia hanno un dominio ancora fondamentale e che hanno ancora molto da dire offrendosi a tutti coloro che sono disposti a scoprire questa terra al di là di ingiusti ed infondati pregiudizi, una terra che ripetiamo è terra delle acque, del verde, della montagna, della storia, della buona gastronomia, del turismo; un turismo consapevole e maturo.
Sezione naturalistica
La provincia di Varese, con 119.871 ettari, è
la più piccola provincia della Lombardia.
Dal punto di vista morfologico il suo territorio
può essere suddiviso in:
- un’area pianeggiante compresa entro i 250
m di quota (pari al 26% della superficie
totale)
- un’area collinare centrale (pari al 42% della superficie totale) compresa tra i 250 e i 600 m
- un’area montuosa situata nella parte nord
(pari al 32% della superficie totale) compresa tra i 600 e i 1.260 m (Monte Lema ).
L’idrografia appare complessa, con numerosi torrenti e fiumi, nove laghi e alcune zone
umide di primaria importanza per la nidificazione
e la sosta di molte specie di uccelli.
Da un punto di vista climatico, la provincia
di Varese rientra nella subregione dei laghi,
sottotipo differenziato da quello padano a
causa dell’azione mitigatrice del Lago Maggiore.
Le precipitazioni hanno carattere
intenso e oscillano mediamente tra 1.500 e
2.000 mm/anno. I massimi di piovosità si
verificano solitamente in primavera e nel
tardo autunno.
I temporali estivi sono spesso accompagnati
da scariche elettriche violente, da forti raffiche
di vento e da un brusco abbassarsi della
temperatura.
Tra i venti predominanti, da menzionare il
favonio (fohen), che generalmente spira da
gennaio a maggio portando cielo sereno e
diminuzione dell’umidità nell’aria.
L’elevata pressione antropica sul territorio ha
portato, nel corso dei secoli, a una marcata
trasformazione della vegetazione originaria;
tuttavia la superficie boscata attualmente è
pari al 53% della superficie provinciale.
VALCERESIO
Ricca di estesi boschi misti di latifoglie, la
Valceresio si estende per una ventina di km
da Varese alle rive del Lago di Lugano, un
tempo chiamato Ceresio. Molti paesi della
valle come Viggiù, Saltrio, Arzo, Brenno e
Useria vantano un’antica tradizione nell’estrazione
e nella lavorazione della pietra.
Inoltre, molto nota è una roccia di colore
rosso denominata granofiro rosato (o granofiro
di Cuasso), un tipo di porfido quarzifero
utilizzato come materiale da costruzione.
In questa roccia si rinvengono geoidi di
dimensioni variabili con ortoclasio e quarzo,
oppure con cristalli di tormalina o di fluorite
oltre al raro topazio che si presenta in piccoli
cristalli prismatici incolori. A Induno
Olona, il Civico Museo Insubrico di Storia
Naturale presenta un’interessante esposizione
di minerali, rocce e fossili provenienti da
giacimenti presenti in valle. Da segnalare
uno scheletro di orso delle caverne ritrovato
sul massiccio del Campo dei Fiori.
Una sosta è d’obbligo anche a Besano, noto
per gli affioramenti fossiliferi ricchi di pesci e
di rettili risalenti al Triassico (235-200 milioni
di anni fa). Furono la Società Italiana di
Scienze Naturali, diretta allora dall’abate
Stoppani, e il geologo Cornalia del Museo
Civico di Storia Naturale di Milano che nel 1863 e nel 1878 iniziarono gli scavi negli scisti
ittiolitici di Besano, descrivendo in articoli
scientifici i primi fossili trovati. Nel
1902, con l’inizio dell’estrazione dell’ittiolo,
sostanza che veniva usata all’epoca per la
cura dei reumatismi e delle infiammazioni
della pelle, venne dato un nuovo impulso
alle ricerche. Purtroppo, nel 1943, a seguito
di un bombardamento su Milano, la preziosa
collezione depositata al Museo Civico di
Storia Naturale fu distrutta. Nei decenni
successivi la collezione fu lentamente ricostituita,
e a Besano, nel palazzo un tempo di
proprietà della famiglia Nobili, è stato istituito
un museo dove è possibile ammirare la
ricca fauna che milioni di anni fa popolava
una laguna composta da specchi d’acqua con
una profondità variabile da 30 a 100 m e dominata da un clima tropicale. Tra i reperti
esposti, merita una segnalazione il calco
del Besanosaurus leptorhynchus, rinvenuto
nella vicina cava di Sasso Caldo, che con i
suoi 6 m di lunghezza è il più grande rettile
marino scoperto fino a oggi in Italia.
Nella Valceresio, la diffusa presenza di un
substrato dolomitico-calcareo offre le condizioni
ottimali per ospitare molte specie di orchidee selvatiche. Vegetali sempre di grande
interesse botanico, inconfondibili per la particolare
morfologia dei loro fiori, dagli ecologi
sono considerate dei preziosi “indicatori
ambientali”, essendo tipiche di habitat con
un buon grado di naturalità. Da citare: l’orchidea
tridentata (Orchis tridentata), l’orchidea
piramidale (Anacamptis pyramidalis), il giglione
annerito (Orchis ustulata), l’elleborina crestata
(Epipactis atrorubens) e l’elleborina bianca
(Cephalanthera longifolia).
VALGANNA
Museo a cielo aperto di eventi geologici che
nel tempo hanno interessato le vicine Alpi,
la Valganna appare al visitatore come una
naturale via di transito tra la Svizzera (Ponte
Tresa) e la Pianura Padana. La valle si estende
in direzione nord-sud dalla località Grotte
della Valganna al Lago di Ghirla e appare delimitata
sul versante sinistro dal Monte
Chiusarella (912 m) e dal Monte Martica
(1.032 m); sul versante destro dal Monte
Monaco (855 m), dal Monte Minisfreddo
(1.042 m), dal Poncione di Ganna (992 m) e
dal Piambello (1.125 m). Lo sfruttamento
delle risorse minerarie della valle, iniziato già
in epoca pre-romana, risulta ben documentato
tra il 1794 e il 1964. Tra i giacimenti più
conosciuti, quelli di galena argentifera (dalla
quale si estraevano piombo e argento) di
Valvassera e di Boarezzo. La Valganna è
impreziosita da due laghi di origine glaciale
alimentati dal Margorabbia: il Lago di Ghirla
e il Lago di Ganna. Quest’ultimo in origine era molto più esteso: il lento e progressivo
riempimento, dovuto a cause naturali ma
soprattutto all’opera di bonifica dei monaci
cistercensi della vicina Abbazia di San
Gemolo, ne hanno ridotto l’ampiezza.
Nonostante una superficie di 0,7 kmq e una
profondità di solo 3 m, questo piccolo bacino
lacustre costituisce un complesso naturalistico
di grande bellezza e di notevole interesse
scientifico, tanto da essere catalogato
tra i siti di importanza comunitaria (Sic). Sulle
sue sponde compaiono specie arboree igrofile
come l’ontano nero (Alnus glutinosa), il
salicone (Salix caprea) e il salice bianco (Salix
alba). La vegetazione del canneto è dominata
dalla cannuccia palustre (Phragmites australis)
e da cariceti di Carex e Tipha. Presenti
anche la ninfea bianca ( Nymphaea alba) e la
lenticchia d’acqua (lemna sp.).
Non meno interessante la fauna, per la presenza
di anfibi e rettili di zone umide.
Numerosi gli uccelli acquatici come il germano
reale (Anas platyrhynchos), il migliarino
di palude (Emberiza schoeniclus) e l’usignolo
di fiume (Cettia cetti). L’ittiofauna è costituita
da lucci (Esox lucius), scardole (Scardinius
erythrophalinus) e tinche (Tinca tinca).
Lasciato il lago si incontra la torbiera di
Pralugano, che si allunga per circa 800 m in
direzione della Valcuvia. Qui i monaci
cistercensi iniziarono a estrarre la torba, attività
che continuò fino alla fine della Seconda guerra mondiale.
La Valganna è dominata dalla cima del
Poncione di Ganna, facilmente raggiungibile,
dal quale si gode un magnifico panorama su
tutte le Prealpi italiane e svizzere. Inoltre,
nella compatta dolomia sono conservati fossili
di invertebrati marini tipici del Triassico
medio come gasteropodi, bivalvi, diplopore(1), frammenti di ammoniti. Infine, sono da segnalare i numerosi fenomeni carsici localizzati
nella parte meridionale della valle con
le grotte sopra la fontana degli ammalati, la
grotta del tempo, la grotta vittorina e la grotta
dell’alabastro.
VALCUVIA
La Valcuvia, dominata a sud dal massiccio
del Campo dei Fiori (1.227 m) e a nord dal
Sasso del Ferro (1.062 m), dal Monte Nudo
(1.235 m), dal Monte Colonna (1.203 m) e dal
Monte San Martino (1.087 m), presenta una
complessa orografia, dovuta in gran parte
all’azione dei ghiacciai dell’ultimo periodo
glaciale.
L’ampio fondovalle, costituito dai materiali
alluvionali trasportati dai corsi d’acqua postglaciali,
ora è percorso dal torrente Boesio,
che sfocia nel Lago Maggiore a Laveno.
Numerose erano quindi le aree paludose,
alcune delle quali di notevole estensione,
come l’area umida del Carreggio, che si
estendeva tra Cuvio e Brenta. Le bonifiche
di queste zone acquitrinose hanno modificato
in maniera rilevante l’antico paesaggio
naturale, oggi dominato da boschi misti di
latifoglie e da impianti artificiali a conifere
che costituiscono dei caratteristici gruppi
verdi facilmente individuabili.
L’area dei grandi laghi prealpini, caratterizzata
da situazioni climatiche del tutto particolari
e nota ai botanici come Insubria (o
distretto insubrico), ospita una vegetazione
tipica di regioni mediterranee più calde. Le
pendici di natura carbonatica che si susseguono
tra il Sasso del Ferro e il Monte San
Martino ospitano una flora ricca di specie
calcicole(2). Da citare: il colchico autunnale
(Colchicum autumnalis), il fior di stecco
(Daphne mezereum), la genzianella (Genziana
acaulis), il ciclamino (Cyclamen europaeum) e, tra le diverse specie di orchidee selvatiche, il
raro giglione annerito (Orchis ustulata).
La natura calcarea del territorio ha dato origine,
nel corso di migliaia di anni, a fenomeni
carsici sia in superficie sia nel sottosuolo,
particolarmente rilevanti nell’area del
Monte San Martino e nella sottostante Valle
Alta. Anche la fauna è ricca e variata; ai
numerosi invertebrati si aggiungono numerose
specie di anfibi, rettili e uccelli. Tra i
mammiferi va menzionata la presenza di
diverse specie di ungulati: caprioli (Capreolus
capreolus), cervi (Cervus elaphus), cinghiali (Sus
scropha), daini (Dama dama) e mufloni (Ovis
musimon).
PARCO REGIONALE
CAMPO DEI FIORI
Il Parco Regionale Campo dei Fiori è stato
istituito nel 1984, ma già nel 1961 Salvatore
Furia, il fondatore della Cittadella della
Scienza della Natura Schiapparelli, aveva
presentato un progetto rivolto alla tutela di
questa area.
Situato a nord di Varese, il territorio del
parco comprende due massicci montuosi: il
Campo dei Fiori (1.227 m) e il Monte Martica
(1.032 m), separati dalla Valle Rasa. La sede
del parco è situata nel comune di Brinzio. Le
vicende geologiche che hanno interessato
questo settore dell’arco alpino iniziarono nel
Permiano (circa 300 milioni di anni fa) quando,
a seguito di imponenti fenomeni vulcanici,
si formarono porfidi, porfiriti e tufi
(vedi il Monte Martica). Successivamente,
nel Mesozoico, a seguito di una trasgressione
marina(3), si originarono massicce formazioni
di scogliera che diedero origine, una
volta emerse, anche al massiccio del Campo dei
Fiori. La successiva erosione, operata dai ghiacciai quaternari, ha poi modellato il territorio
determinandone in gran parte l’attuale
morfologia. La presenza di rocce calcaree
ha reso possibile lo sviluppo di fenomeni
carsici sia superficiali (doline, campi solcati,
ecc.), sia sotterranei. Tra le oltre 60 grotte
individuate nel massiccio del Campo dei
Fiori è da ricordare la grotta Marelli, scoperta
all’inizio del ’900, che risulta essere, con i
suoi 530 m, una delle più profonde della
Lombardia. Il suo nome ricorda il giovane
Ferdinando Marelli, rampollo della nota
famiglia di industriali milanesi, che nel maggio
del 1916, munito di una semplice corda
di canapa, arrivato alla profondità di 180 m,
precipitò nel vuoto. In questa grotta sono
stati trovati numerosi resti fossili tra i quali
crani, femori e mandibole appartenenti all’estinto
orso delle caverne (Ursus spelaeus).
Oggigiorno queste cavità ospitano un prezioso
coleottero (Duvalis ghidinii), descritto
per la prima volta nel 1909: si tratta dell’unica
specie endemica(4) presente nel parco. La
vegetazione che ricopre il massiccio del
Campo dei Fiori è caratterizzata dalla presenza
del castagno (Castanea sativa) fino a
600 m; sopra tale quota compaiono vaste
faggete (Fagus sylvatica). Sulla sommità sono
presenti rimboschimenti artificiali di conifere,
soprattutto di abete rosso (Picea abies) e
larice (Larix sp.) realizzati nei primi decenni
del secolo scorso. I versanti aridi e solatii del
Monte Martica ospitano invece boschi misti
con presenza della roverella (Quercus pubescens),
della betulla (Betulla sp.) e del pino silvestre
(Pinus silvestris). La flora è assai ricca;
da segnalare la presenza della rosa di Natale
(Helleborus niger), del dente di cane
(Erythronium dens-canis), della peonia (Peonia
officinalis) e della primula orecchia d’orso (Primula auricola). Nel territorio del parco va
inoltre menzionata la presenza su suolo calcareo,
per un totale di 40 ettari, dei prati
magri, originati da attività antropiche quali il
pascolo e lo sfalcio periodico senza concimazione.
Le particolari condizioni ecologiche
registrate (scarsità d’acqua, povertà delle
sostanze nutrienti, intenso irraggiamento
solare) hanno favorito la presenza di un elevato
numero di specie arboree (oltre 50 specie
per mq), tra le quali numerosissime sono
le orchidee selvatiche. Inoltre questi prati si
sono rivelati preziosi territori di caccia per
diverse specie di pipistrelli, oggetto di un
Progetto Life Natura finanziato dalla
Comunità Europea.
Nel territorio del parco la fauna vertebrata è
costituita da un soddisfacente numero di
specie. Tra gli anfibi le rane rosse (Rana dalmatina,
Rana temporaria e la rara Rana latastei),
il rospo comune (Bufo bufo), la salamandra
pezzata (Salamandra salamandra), il tritone
crestato (Triturus cristatus) e il tritone
punteggiato (Triturus vulgaris); tra i rettili il
ramarro (Lacerta viridis), il biacco (Coluber
viridiflavus) e la non frequente aspide (Vipera
aspis). L’avifauna è assai ricca; interessante la
presenza del picchio nero (Dryocopus martius),
del frosone (Cocco-thraustes coccothraustes)
e della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes).
Tra i mammiferi, da ricordare la presenza
dei mustelidi, dello scoiattolo (Sciurus vulgaris),
della volpe (Vulpes vulpes), del capriolo
(Capreolus capreolus), del cervo (Cervus
elaphus) e del cinghiale (Sus scropha).
VALLI DEL LUINESE
Localizzate nella parte settentrionale della
provincia di Varese, le valli del luinese
appaiono al visitatore come un’area interamente
ricoperta da estesi boschi di latifoglie.
La vegetazione è caratterizzata dalla presenza
del castagno (Castanea sativa) la cui diffusione
è stata ampiamente favorita dall’uomo
a svantaggio dei boschi di roverella (Quercus
pubescens) e di rovere (Quercus petraea).
Accanto al castagno compaiono il nocciolo
(Corylus avellana), il ciliegio (Prunus avium), il frassino (Fraxinus excelsior) e il tiglio (Tilia
cordata). Da 900 a 1.400-1.500 m, sui versanti più umidi domina il faggio (Fagus sylvatica).
A quote superiori compaiono l’ontano verde
(Alnus viridis), il rododendro (Rhododendron
hirsutum) e pascoli prevalentemente a
Nardus stricta, Poa alpina e Festuca sp. Da
segnalare la presenza di rimboschimenti a
conifere, iniziati nei primi decenni del secolo
scorso, tra i quali la Pineta di Armio e la
Pineta di Montegrino.
La geologia del territorio è relativamente
variata. L’area a nord di Luino è caratterizzata
da micascisti e gneiss talvolta frammentati da
banchi di quarzite; l’area a sud di Luino presenta
invece vasti affioramenti di rocce calcaree.
Numerose le tracce lasciate dallo scomparso
ghiacciaio del Ticino : le valli di origine glaciale, i terrazzi fluvio-glaciali presenti in
Val Veddasca, le sommità dei rilievi arrotondate
(Forcora, Monte Sirti, Paglione, Monte
Borgna, Monte Lema), la presenza di massi
erratici. Il progressivo abbandono dell’agricoltura
di montagna, accanto allo spopolamento
delle valli iniziato nel dopoguerra, ha
creato nuove situazioni ambientali rivelatesi
adatte ad ospitare una fauna più varia. Da
segnalare la presenza del camoscio (Rupicapra
rupicapra), che vive in fasce altitudinali decisamente
basse per la specie, e di altri ungulati
quali il capriolo (Capreolus capreolus), il
cervo (Cervus elaphus), il cinghiale (Sus
scropha). Oltre ai consueti micromammiferi,
(roditori e insettivori) sono presenti il tasso
(Meles meles), la martora (Martes martes), la
faina (Martes foina), la donnola (Mustela nivalis), la volpe (Vulpes vulpes).
Assai ricca è l’avifauna,
con specie tipiche di montagna
come l’aquila reale (Aquila chrysaetus), il
corvo imperiale (Corvus corax) e il fagiano
di monte (Lyrurus tetrix). Tra gli anfibi, da
segnalare la presenza delle rane rosse (Rana
temporaria, Rana dalmatina), della rana
verde (Rana esculenta), del rospo (Bufo bufo),
della raganella (Hyla arborea), della salamandra
pezzata (Sala-mandra salamandra) e
del tritone crestato (Triturus cristatus). Tra i
rettili, l’aspide (Vipera aspis), molto importante
per gli equilibri biologici ed eccessivamente
temuta, la biscia dal collare
(Natrix natrix), la natrice viperina (Natrix
maura), il biacco (Coluber viridiflavus) e il
ramarro (Lacerta viridis).
Tra le valli del luinese, la Val Veddasca è stata
recentemente inserita nei siti di importanza
comunitaria (Sic).
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Approfondimenti
Palazzo Estense
Nella metà del XVIII secolo Francesco III d'Este, duca di Modena, viene nominato governatore di Lombardia, e Maria Teresa d'Austria fa dono al duca del territorio di Varese, che egli infeuda. Forse già durante la sua prima visita compiuta in città, nel 1755, decide, affascinato dall'amenità del luogo, di costruire qui la sua residenza estiva, una vera e propria reggia.
I Menafoglio suggeriscono al duca la casa Orrigoni ed i terreni adiacenti, ed occupandosi di tutto, danno il via a lavori di ampliamento e ristrutturazione.
Particolare interesse riveste quello che oggi è noto come "Salone Estense", abbellito dalle finte architetture del pittore modenese Ludovico Borsellini, mentre l'ovale centrale con Giove, Venere ed Amore è attribuito a Giovan Battista Ronchelli.
Coronamento di questa reggia sono gli splendidi giardini alla francese, progettati da Giuseppe Antonio Bianchi, sostituito poi da Lodovico Bolognini, esperto in questioni idrauliche.
I lavori del palazzo continuarono anche dopo la morte del duca.
Santa Maria del Monte
L'altura del Sacro Monte che domina la pianura sottostante, ha inizialmente un importante valore dal punto di vista militare, constando di una rocca che fin quasi al '300 è una delle fortificazioni principali del contado del Seprio. Dal XV secolo in poi, però, l'aspetto religioso si impone e nel 1476 viene eretto il monastero, per volontà delle beate Caterina e Giuliana che qui si erano precedentemente rifugiate in eremitaggio.
Agli inizi del '600 viene dato l'avvio ai lavori per la costruzione delle cappelle e della loro via sacra, opera monumentale in cui ha gran parte il frate G. Battista Aguggiari.
Per la realizzazione dell'opera viene chiamato l'architetto Giuseppe Bernascone.
Il complesso è dedicato ai misteri del Rosario e si conclude nella chiesa che costituisce l'ultima cappella del sacro percoso, dove si celebra l'assunzione della Vergine. Tale opera, bisogna ricordare, si trova non lontano dalla Svizzera, e viene a svolgere, in un epoca quale quella del '600, dominata dai dettami della Controriforma, il ruolo di baluardo contro eventuali penetrazioni protestanti.
A seguito del riconoscimento ufficiale avvenuto il 22 maggio 2004, il Sacro Monte di Varese è entrato a far parte dei beni dell'UNESCO.
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